Cittadinanza Italiana via Materna 1948



Cos’è la cittadinanza  italiana via materna?

Si tratta di un procedimento giudiziale per il riconoscimento della cittadinanza materna iure sanguinis volto a correggere una disposizione normativa dell'epoca che impediva alle donne di trasmettere la cittadinanza ai discendenti se erano sposate con cittadini stranieri. È conosciuta anche come cittadinanza materna 1948.

Questo problema inizia con l’art 1. Dalla legge 555/1912:

“ Art. 1. – E’ cittadino per nascita:il figlio di padre cittadino”

Vale la pena dire, fino al 31.12.1947, prima dell'entrata in vigore della Costituzione Federale Italiana in linea diretta di uomini, ad esempio: bisnonni, nonni, padri, figli, tutti avrebbero ricevuto la cittadinanza per sangue, ma se in questo ambiente ci fosse una donna sposata con un cittadino straniero, la cittadinanza italiana per via materna non trasmetterebbe la cittadinanza italiana ai suoi figli.

artigo 10ª.  Da lei 555/1912:

La  donna  cittadina  che  si  marita  a  uno  straniero  perde  la cittadinanza italiana, sempreche' il marito possieda una cittadinanza che pel  fatto  del  matrimonio  a  lei  si  comunichi. 

 Vale la pena ricordare che la legislazione non riconosceva alle donne italiane, sposate con un cittadino straniero, diritti che tutelassero la loro personalizzazione e la trasmissione di valori assoluti. È stata vista come una perdita della cittadinanza italiana o un'interruzione della trasmissione.

Nel caso del Brasile, ad esempio, le donne italiane o di origine italiana (ascendenza) sposate con cittadini brasiliani, i loro figli hanno acquisito la cittadinanza del padre.

Il 1° gennaio 1948 è entrata in vigore la Costituzione italiana che prevede agli articoli 3 e 29 la parità tra uomo e donna. Questa norma però non venne immediatamente applicata alla pubblica amministrazione italiana, la quale non riconosceva come membri dello Stato i figli di madre italiana sposata con uno straniero.

Il caso è giunto alla Corte Costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 10. del decreto 555/1912 nella famosa sentenza 87/1975, per violazione degli articoli 3. e 29 della Costituzione che giustamente lo fa:

É indubbio che la norma impugnata, stabilendo nei riguardi esclusivamente della donna la perdita della cittadinanza italiana, crea una ingiustificata e non razionale disparità di trattamento fra i due coniugi.

La differenza di trattamento dell'uomo e della donna e la condizione di minorazione ed inferiorità in cui quest'ultima é posta dalla norma impugnata si evidenzia ancora maggiormente per il fatto che la perdita della cittadinanza, stato giuridico costituzionalmente protetto e che importa una serie di diritti nel campo privatistico e pubblicistico e inoltre, in particolare, diritti politici, ha luogo senza che sia in alcun modo richiesta la volontà dell'interessata e anche contro la volontà di questa.

La norma impugnata pone in essere anche una non giustificata disparità di trattamento fra le stesse donne italiane che compiono il medesimo atto del matrimonio con uno straniero, facendo dipendere nei riguardi di esse la perdita automatica o la conservazione della cittadinanza italiana dall'esistenza o meno di una norma straniera, cioé di una circostanza estranea alla loro volontà.

La norma viola palesemente anche l'art. 29 della Costituzione in quanto commina una gravissima disuguaglianza morale, giuridica e politica dei coniugi e pone la donna in uno stato di evidente inferiorità, privandola automaticamente, per il solo fatto del matrimonio, dei diritti del cittadino italiano. Come rileva il giudice a quo, la norma non giova, rispetto all'ordinamento italiano, all'unità familiare voluta dall'art. 29 della Costituzione, ma anzi é ad essa contraria, in quanto potrebbe indurre la donna, per non perdere un impiego per cui sia richiesta la cittadinanza italiana o per non privarsi della protezione giuridica riservata ai cittadini italiani o del diritto ad accedere a cariche ed uffici pubblici, a non compiere l'atto giuridico del matrimonio o a sciogliere questo una volta compiuto.

 Dopo la decisione della Corte Costituzionale, l'uguaglianza tra uomini e donne in materia di cittadinanza è stata legalmente prevista dalle leggi n. 123 del 21 aprile 1983, art. 5 (“È cittadino italiano il figlio minore, anche adottato, di padre cittadino o di madre cittadina”), e successivamente dall'art. 1, comma a), della legge n. 91 del 1992.

Pertanto, alla luce dell’attuale giurisprudenza, è ormai indiscutibile il principio secondo cui anche i discendenti di madre italiana nati prima del 1948 possono vedere riconosciuto lo status di cittadino italiano iure sanguinis.

Tuttavia, la pubblica amministrazione non riconosce tali diritti automaticamente, e i figli o le figlie di madri antecedenti al 1948 devono cercare una soluzione presso la magistratura italiana per dichiarare incostituzionale tale arbitrarietà e riconoscere la trasmissione della cittadinanza ai propri figli.

Vale la pena ricordare che i figli di donne nate prima del 1948 non possono richiedere amministrativamente la cittadinanza tramite la madre e devono ricorrere al tribunale per il riconoscimento della cittadinanza italiana.

Si è creato così un mosaico dove i figli di madri nate prima del 1948 non possono riconoscere amministrativamente i loro diritti e, invece, i bambini che potrebbero essere riconosciuti amministrativamente nei casi nati dopo il 1948.

Anche nella seconda ipotesi ci imbattiamo in un altro problema. Le famose code ai consolati brasiliani che impiegano più di 12 anni per completare questo processo.

Attualmente, quindi, la cittadinanza italiana via materna può essere riconosciuta dal Giudice a coloro che l'hanno perduta ai sensi della Legge del 1912 e ai loro discendenti.

Fino a quando il Legislatore non interverrà, dando agli interessati (soprattutto ai discendenti di donne immigrate nei paesi sudamericani: Brasile e Argentina in primis) la possibilità di ottenere la cittadinanza iure sanguinis attraverso la propria madre, presentando la relativa domanda al Consolato o all'Ufficio competente, sia necessario adire il tribunale competente contro lo Stato italiano.

Nulla, però, toglie che sia necessaria un'analisi approfondita della documentazione per l'azione legale relativa alla cittadinanza italiana da parte della madre, che deve adempiere ad ogni legame di trasmissione con i suoi discendenti.

Vengono analizzati i dichiaranti del certificato se i genitori non erano sposati, insieme ai documenti se i genitori erano divorziati, oltre ai certificati di nascita e di matrimonio, nonché il certificato di morte dell'italiano se ha lasciato l'Italia durante il Regno d'Italia. Italia.

Pertanto, una donna in linea materna non impedisce il riconoscimento del suo diritto. La cittadinanza italiana materna giudiziaria può essere riconosciuta per i casi antecedenti al 1948 e successivi al 01/01/1948.

L’importante è affidarsi ad un professionista specialista e competente per difendere i propri diritti.

Piccolo & Montone, con sede a Milano, dispone di avvocati specializzati che operano nel settore della cittadinanza materna italiana.